Dimenticate per un momento la donzelletta che vien dalla campagna e una certa Silvia, invitata a rimembrare ancora quel tempo della tua vita mortale. Perchè c’è un altro Leopardi,  meno conosciuto del Leopardi dei Canti, che affida il suo pensiero alla prosa e alla satira. E’ il Leopardi delle Operette morali, che il Teatro di Calabria ha presentato nei giorni scorsi al MARCA di Catanzaro. Un Leopardi inatteso che, come recita il titolo dello spettacolo, si muove tra Ragione e Passione, tra la parodia di Luciano di Samosata e il cinismo di Candide di Voltaire, passando da Plutarco e Machiavelli, scegliendo la contaminazione di generi, il paradosso e la diversità di angolazioni, per indicare nella filosofia morale la strada da percorrere per sfuggire alle miserie del presente. Personaggi storici, come Cristoforo Colombo, filosofi, come Plotino, poeti, come Torquato Tasso, si alternano  a personaggi fantastici (folletti, gnomi) o metaforici (la Natura, la Morte, il Venditore di Almanacchi),  per mettere alla berlina la tensione verso le sorti magnifiche e progressive dell’umanità, dietro le quali si nasconde una quotidianità in realtà piatta e banale.
Una scrittura potente e profondo, che ti investe, ti bombarda e disorienta. Ti destabilizza e però avvince fino in fondo. Un testo che "non si può definire teatrale in senso classico, ma che è stato pensato come una commedia, in una lingua e con una struttura così vive e moderne da far saltare i riferimenti drammaturgici del secolo in cui è stato scritto per approdare a una profonda consonanza con esperienze fondamentali del teatro del Novecento, come scrive Ippolita di Majo." Ne abbiamo parlato con il prof. Luigi La Rosa, direttore artistico del Teatro di Calabria e autore del testo, viaggio in un Leopardi  inedito, poco studiato a scuola e spesso riscoperto da adulti, attraverso alcuni brani delle Operette, letti dagli attori Aldo Conforto, Salvatore Venuto, Mariarita Albanese e Marta Parise. Prof. La Rosa, siamo nel 1820. Leopardi  si trasferisce a Roma nel tentativo di lasciare Recanati e per cercare una via d’uscita alla crisi poetica e filosofica che lo pervade. E qui arriva l’idea di voler creare dei Dialoghi satirici, delle piccole commedie scritte alla maniera di Luciano, dove i toni giocosi e da commedia rivestono temi filosofici e metafisici, l’infelicità della natura umana e la sua grandezza... Le Operette morali, composte essenzialmente nel 1824 e pubblicate in prima edizione nel 1827, rappresentano l’approdo di una riflessione molto significativa del pensiero leopardiano. L’opera segna il definitivo allontanamento rispetto agli intellettuali dell’Antologia e avvia la meditazione leopardiana alla “ provvisoria “ conclusione delle grandi canzoni filosofiche. Fin dal suo apparire, l’Opera dispiacque sostanzialmente a tutti anche perché aveva tutte le caratteristiche per non piacere a nessuno : non piaceva ai progressisti cattolici dell’Antologia così come non piaceva agli ambienti clericali; non piaceva agli intellettuali tronfi e provinciali così come non piaceva agli spiritualisti gretti che gestivano il potere culturale. Il materialismo ostentato, l’ateismo insinuato, le verità sgradevoli continuamente proposte al lettore, la satira feroce e corrosiva contro le presunte verità del secolo e contro la fede ottusa nel Progresso facevano gravare sull’opera il germe del sospetto e la destinavano o alla persecuzione o al silenzio. Infatti le Operette sono un unicum della nostra letteratura, non hanno dei precedenti e non hanno avuto imitatori, campeggiano nella loro solitudine stellare avvolte, come un pò tutto Leopardi, nella rassicurante patina dell’opera malinconica e dolente frutto di un “genio sterile dalla vita strozzata”. Le Operette sono un capolavoro della parola, una fascinazione totale di sicuro per il lettore nel suo corpo a corpo con il testo ma, forse, ancora di più sul palcoscenico. La letteratura qui va incontro al teatro per ritrovare la strada smarrita, per scuotere il pubblico dall’apatia e smuovere gli animi… Naturalmente, nonostante gli esorcismi consolatori, le Operette rappresentano uno dei vertici più alti della nostra letteratura e, curiosamente, mostrano di avere un andamento “ teatrale”. Pur non scritte per la rappresentazione, i dialoghi paiono avere una partitura che si adatta benissimo alla scena. Specie i dialoghi che hanno per protagonisti personaggi del quotidiano o appartenuti alla storia ( il venditore di calendari, l’islandese, Federico Ruysch ecc.) sembrano immaginati per l’interpretazione teatrale nella quale tanto la presenza asciutta dei protagonisti quanto l’uso di una lingua media e quotidiana riescono a trasferire nel lettore ( e ancora di più nello spettatore) l’essenza del pensiero leopardiano, quella filosofia “dolorosa ma vera” destinata, nelle intenzioni dell’Autore, ad innalzare il senso morale degli uomini. Sulla base di questi assunti, ci è parso di poter operare il trasferimento dalla pagina scritta alla scena teatrale naturalmente senza alterare il senso delle Operette e senza imprimere forzature alle idee fondamentali in esse contenute. E’ evidente che sia occorso un certo rimaneggiamento dei testi, intanto per ridurli a misura di “atti unici “ e per evitare alcuni arcaismi linguistici che avrebbero ostacolato la comprensione dello spettatore non specialista.  Preceduti da alcune note di spiegazione che rendono più chiara la fase della riflessione leopardiana, sono state rappresentate quattro delle Operette più significative : il Dialogo dell’Islandese e della Natura, quello di Federico Ruysch con i morti, il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggero e, infine, il Dialogo di Tristano e di un amico. La disposizione dei dialoghi è stata stabilita proprio per seguire la linea di sviluppo del pensiero di Leopardi all’interno delle Operette.
Gli attori si sono presentati sulla scena in abiti normali ed hanno prestato la voce alle idee senza forzature enfatiche o gestualità ampie ma con toni e comportamenti volutamente dimessi in modo che il testo non si trasformasse in “ spettacolo “ e mantenesse la sua dignità letteraria. Uno spettacolo non facile, che richiede immersione totale e fiducia completa verso una rilettura che intende portare a galla i molteplici tesori di un testo complesso, restituendo tutta l’attualità del genio di Recanati. Il  pubblico, numeroso, ha apprezzato.
"La vita di questo universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, e alla conservazione del mondo; il quale, sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimenti in dissoluzione. Pertanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento. (Dialogo della Natura e di un Islandese)"

Si ringraziano gli autori dell'articolo e la redazione di http://linkingcalabria.it