Moglie e Buoi: l’arguta comicità della Compagnia A Trambìa di Catanzaro, ieri pomeriggio al Casalinuovo. Inutile nascondersi: uno dei cliché che ad oggi è “a buon mercato” e che riscuote “adesioni”, è la volgarità “spacciata” per comicità. Sia ben chiaro, nessuno si permette di generalizzare e fare “di un’erba, un fascio”, poiché il panorama nazionale offre comunque spunti interessanti e degni di nota; è pur vero, però, che “parolacce, culi e tette” continuano ad essere “venduti” come genere nazionalpopolare al cinema e a teatro, anche. Ecco, occorre soffermarsi proprio sul Teatro, un ambiente che non riesce a decollare, affermandosi pienamente su pellicola e tv (anche questo rientra nel target dell’italiano medio): ma ci sono quelle realtà “minori”, meritevoli di ascolto, di uno spazio all’altezza di un lavoro portato avanti in silenzio e con sacrifici. Realtà una volta considerate “di nicchia” ma che, nel quadro locale, assumono un valore intrinseco, proprio dovuto all’impatto culturale che hanno sulla gente; è, senza dubbio, il caso del teatro vernacolare, una fetta di cultura nazionale che comprende tradizioni tramandate da secoli.
Tra coloro che si pongono all’attenzione generale, come vettori di comunicazione educativa, vi è sicuramente la Compagnia teatrale “A Trambìa” di Catanzaro che, ieri pomeriggio, ha aggiunto un altro fondamentale tassello socio – culturale nel mosaico della città, andando in scena con “Moglie e Buoi”, all’Auditorium Casalinuovo, (che ha preceduto la degustazione di prodotti tipici messi a disposizione da “Delizie di Calabria”, partner dell’evento). Guidata dal presidente Lino Bagnato, dal direttore artistico Silvestro Bressi e dal regista, il noto Maestro Aldo Conforto (con le musiche di Francesco Silipo), la Compagnia ha portato sotto l’occhio di bue del “Casalinuovo” un’opera che ha intrattenuto il folto pubblico accorso per un’ora e mezza, inscenando una storia ambientata nella Catanzaro degli anni ’30, incentrata su un’allegra famigliola le cui vicende orbitano attorno ad una “casa di tolleranza” (un “casino”, parafrasando il termine volgare più comunemente usato): ecco che emerge il lavoro di regia e del direttore artistico Bressi che ha riadattato il testo di questa farsa dialettale, incastonando però il tutto in un contesto storico reale, ben definito! Ci troviamo nell’Italia di inizio ‘900, con la Legge Merlin (di Angelina Merlin del PSI) che ha vietato l’utilizzo di case private per la prostituzione; in questo scenario, nella vita di don Armando (interpretato dallo stesso Lino Bagnato), composta dalla moglie Lucia (Rossella Petrillo) e dai figli Nicolino (Marco Angilletti) e Delina (Martina Scavelli), “irrompe” la figura di don Ciccio (Pino Tafuri, mattatore della scena!), fratello di Lucia.
Zio Ciccio ritorna dalla sua esperienza prolungata a Roma, “nell’Alta Italia” (non proprio Settentrione, però!), dopo sei mesi di permanenza e ciò, ne restituisce un uomo cambiato solo nell’apparenza; eccezion fatta per il suo fasullo intercalare “Dio Bono” (tipicamente del Nord), don Ciccio non è proprio quel nordista acquisito, arricchito culturalmente, come millanta di essere: nonostante la vita mondana che lo rende un uomo “ ‘mancipatu”, la sua resta una figura grottesca, stramba, ma dalla simpatia travolgente. Nel far ritorno dai suoi familiari, con un carico di regali per tutti, rivela particolari del suo quotidiano fatto di frequentazioni “d’alta classe”, apostrofando le differenze tra “noi del Nord” e “voi altri, pecurari”, esaltando continuamente la sua forza di volontà nel riprendersi da un intervento di appendicite (“A mia m’apariru e supa a sutta! Mi spaccaru a du’ menzini!”) e nel farsi amicizie importanti. Proprio sulle sue frequentazioni piuttosto ambigue, si impernia la commedia, sulla quale spicca l’avvenente “Sciscì Milord” (interpretata da Annarita Palaia), dal cui “nome d’arte” è facile intuire il tipo di “attitudine”. Sul legame tra don Ciccio e Sciscì, poiché l’uomo è sospettato di fungere da “protettore” della “distintissima” signorina, indaga un delegato di Pubblica Sicurezza, un mastino pignolo e pressante più che un semplice funzionario d’ordine pubblico (ruolo ricoperto da Antonio Orlando che, al fine di enfatizzare i connotati del suo personaggio, ha recitato modulando notevolmente la sua timbrica). Finanche don Armando e suo figlio Nicolino sono tra gli assidui “frequentatori” della casa di Sciscì e don Ciccio, nella quale lavora la servetta Cesira (Pina Rosi); da qui si inalbera una trama bizzarra e paradossale, fatta di equivoci, situazioni ridicole e continui capovolgimenti!
Insomma, la Compagnia “A Trambìa” ha proposto una comicità sana, aperta all’aggregazione e alle famiglie, che rilassa, distrae e, perché no, aiuta a riflettere.
Si ringraziano Cosimo Simonetta e la redazione di https://www.ondacalabra.it